Santa Maria di Betlem a Sassari: la chiesa e la città.

di Marisa Porcu Gaias

 

Fin  dal XIII secolo, la storia della  chiesa e del convento francescani intitolati a Santa Maria, e, dagli inizi del Trecento, a Santa Maria di Betlem, dispiegandosi per oltre sette secoli, si intreccia,  in un rapporto costante, con quella della città e fornisce  utili elementi a chi voglia ricostruirne il percorso.

Il patrocinio della Municipalità sulla chiesa coincise con l’affermazione dell’autonomia di Sassari sancita dagli Statuti e si protrasse nei secoli, interessando direttamente le modificazioni strutturali dell’edificio e le sue adiacenze.

I  francescani giunsero a Sassari attorno al 1220, vivo ancora il Santo fondatore dell'Ordine, e si insediarono, col consenso della Municipalità, presso la chiesa di Santa Maria di Campulongu, fondata dal giudice di Torres Costantino I nel 1106, dotata di titolo abbaziale  e donata ai benedettini che, in seguito, l’abbandonarono.

Era questa una chiesa rurale, con annessa  una piccola struttura conventuale, situata extra et prope muros, fuori e accanto alle mura di Sassari, "città nuova" in rapida formazione, grazie all'intensificarsi dell'agricoltura e degli scambi commerciali nel settore nord-occidentale dell'Isola.

Le basse case che s'infittivano nei due nuclei longitudinali, lungo l'asse principale Nord-Sud, entro la cerchia delle mura che si consolidava, erano abitate dalla piccola nobiltà locale di origine giudicale, dai mercanti in gran parte di provenienza peninsulare, da contadini, braccianti e artigiani.

La nascente borghesia stringeva alleanze ora con Pisa ora con Genova e si organizzava in Comune, sul modello italiano, contrapponendosi alla sempre più debole autorità del suo sovrano, il Giudice di Torres

L'affermazione dell'autonomia cittadina coincise con l'emanazione degli Statuti, avvenuta dopo il 1272, e con l'edificazione del complesso conventuale di Santa Maria, avviata proprio nell'ultimo quarto del secolo e col patrocinio Municipale. All'epoca, la città vantava dai 10 ai 12 mila abitanti

Negli Statuti Sassaresi si stabiliva che, per evitare discordie fra i sassaresi per l'elezione degli anziani che dovevano governare il Comune, la borsa che conteneva i nomi dei cento cittadini fra i quali annualmente si estraevano i nomi dei componenti il Consiglio maggiore, fosse custodita dal padre Guardiano dei frati minori conventuali di Santa Maria di Sassari.

I minori conventuali rivestivano quindi il ruolo di fiduciari della Municipalità e, in più, dall’epoca della Convenzione stipulata con Genova  nel 1294, custodivano anche le somme derivanti dall'esazione delle merci di passaggio nel porto di Torres, lo scalo mercantile della città.

L'arma cittadina, la torre, figura ancora in uno degli archetti del coronamento sul fianco settentrionale della chiesa di Santa Maria, riedificata secondo i dettami del gotico cistercense di matrice umbro-toscana, adottati per le altre chiese dell'Ordine costruite in Sardegna, ad Oristano e a Cagliari, a partire dal 1250.

Proprio negli anni in cui s'intensificava la presenza dei francescani nella Provincia di Terra Santa, o ultramarina, per quell'opera di evangelizzazione che, ispirata al criterio indicato dal fondatore nella Regola nel 1221, si proponeva di "evitare le contese e annunziare la parola di Dio attendendo la Grazia divina", differenziandosi in questo modo dalla conquista armata propugnata dalle Crociate, nell'ornamentazione della facciata della francescana Santa Maria, a Sassari, comparivano elementi decorativi d'impronta araba.

Sono, queste, le ornamentazioni introdotte in Sardegna dalle maestranze musulmane, immigrate dalla Spagna a seguito della reconquista delle città occupate dai Mori e inseritesi nei cantieri cristiani, grazie alle loro capacità tecniche e di ornamentazione.

Un più stretto legame tra i francescani presenti a Sassari e i luoghi Santi viene evidenziato dalla nuova intitolazione  data alla chiesa ai primi del Trecento: Santa Maria di Sassari, diviene Santa Maria di Betlem, come testimoniano un documento del 1321 e la menzione nel Vestustissimum Provinciale francescano del 1330, che registra il nome di Santa Maria de Bella (per Bellem) de Sassaro.

Gli anni in cui sorge il complesso di Santa Maria e si afferma, parallelamente, la città di Sassari, sono quelli contemporanei al breve e intenso pontificato del primo papa francescano, Nicolò IV (1288-1292), durante il quale vennero emanate numerose Bolle riguardanti la Terra Santa, prima e dopo la caduta di San Giovanni d'Acri, l'ultimo baluardo crociato, espugnato nel 1291.

Principi e re abbandonarono la terra Santa, ma non i frati minori che nel primo secolo dell'istituzione dell'Ordine vi avevano creato una ventina di conventi. Seguendo l'esempio di Francesco, che nel 1219 aveva conquistato la stima del Sultano Melek al Kamel, detto dalle fonti contemporanee "buono, benefico, soccorritore nei pericoli e generoso, tollerante delle insolenze" e ne aveva ottenuto un lasciapassare per accedere al Santo Sepolcro e predicare il Vangelo nel territorio del suo Impero, i francescani conquistarono il cuore degli infedeli tanto che nel 1309-1310 il sultano Bibars II donava loro la "Chiesa di Bethlehem", ma la sua rapida morte impedì ai frati di prenderne possesso.

Nel 1333 i francescani ottennero, grazie all'appoggio del sovrano di Aragona, la custodia del Santo Sepolcro e,  nel 1342, Papa Clemente VI confermò la donazione fatta loro da Roberto d'Angiò e dalla Regina Sancia di Napoli, del Santo Cenacolo, con gli annessi santuari del Monte Sion e un convento per 12 religiosi e 3 secolari.

I solenni documenti pontifici gettavano così le basi dei diritti francescani sui Luoghi Santi e segnavano l'atto di nascita dell'odierna Custodia della Terra Santa, detta "Custodia" per eccellenza.

Negli stessi anni, una chiesa e un convento francescani nella lontana isola di Sardegna, anch'essa in qualche modo terra di missione, quasi a stabilire un legame diretto con la Terra Santa, o a significare un diretto rapporto dei francescani di Sassari con  Betlem, assumevano l'intitolazione a "Santa Maria di Betlem", mentre mutava per l’isola il corso della storia.

Nel 1323 la città di Sassari si era infatti sottomessa ai nuovi dominatori, gli aragonesi, ma solo dopo un secolo di tormentate vicissitudini, si giunse alla reale pacificazione.

Ben poco sappiamo delle vicende della chiesa di Santa Maria di Betlem in questo periodo, così come della città di Sassari, teatro di ribellioni antiaragonesi, svuotata della sua classe dirigente, precariamente ripopolata con Catalani, Valenzani e Tarragonesi e poi nuovamente spopolata, desolata da guerre e carestie, al pari dei centri abitati del territorio circostante, e con una popolazione che, nel 1358, si era ridotta a 3000 abitanti.

Non era venuto meno, nel frattempo, il patronato della Municipalità sassarese sulla chiesa e il convento francescani: lo testimonia la destinazione alle riparazioni della chiesa della tassa sul vino imposta dal Giudice Ugone III attorno al 1378-81. Tale diritto sarà abolito nel 1439 da Alfonso V d'Aragona, a pace avvenuta.

Alla ripresa economica e demografica della città, successiva al ristabilimento della pace, corrispondono  le vicende edilizie della chiesa di Santa Maria di Betlem, promosse, ancora una volta, col contributo pubblico.

Tra il 1440 e il 1465 la chiesa "Fuit in melius reparata" per dirla con lo storico cinquecentesco Giovanni Francesco Fara, ed è in queste trasformazioni ed ampliamenti che si manifesta a Sassari lo stile gotico di derivazione catalana, rivelando il mutamento degli influssi culturali, che non provengono più dal continente italiano ma da quello iberico, in conseguenza delle vicissitudini politiche.

È di questo periodo, e di provenienza catalana, il simulacro ligneo policromo del tardo Trecento  della Vergine di Betlem, detta anche Nostra Signora della Rosa o della Grazia.

 

 

L'arrivo a Sassari della venerata statuetta, nella cui veste figura la croce di Gerusalemme, è forse da porre in relazione con la concessione di visitare il Santo Sepolcro, fatta da Papa Gregorio XII nel 1410 al frate Giuliano di Nicolò del convento sassarese e, certamente, con l'interesse dei francescani per i luoghi Santi, in quel periodo sottratti alla loro custodia.

Intanto la chiesa sassarese di Santa Maria di Betlem si ampliava, coprendo con una volta a crociera il transetto, che in origine aveva copertura lignea, come la navata, creandovi  due cappelle nel suo lato settentrionale, una delle quali dedicata alla Madonna della Rosa, di cui oggi rimane l'arco d'accesso, murato alla base della cupola ottocentesca, accanto all’entrata  laterale, e la gemma della crociera che riproduce il modello della statua, una Maestà gotica in trono col Bambino in veste di "Salvator Mundi". Progressivamente, numerose cappelle furono realizzate ai fianchi della navata, occupando anche un lato del chiostro sul fianco meridionale, e, infine, la chiesa fu dotata di  un campanile a canna poligonale. Ad abbellire le cappelle quattrocentesche era l'oligarchia municipale che, nello stesso arco di tempo, andava costruendo le sue ricche dimore lungo la "Platha", la strada principale della città, il centro della vita mercantile e nella quale avevano sede anche il palazzo del Governatore e quello Comunale.

Proprio un Governatore, Andrea de Biura, aveva il patronato e il diritto di sepoltura nella cappella di Nostra Signora di Betlem o della Rosa.  Lo stesso era anche obriere dell'Opera del Duomo, il depositario cioè delle somme raccolte per l'ampliamento della chiesa di San Nicola, divenuta cattedrale nel 1441, la cui fabbrica, avviata alla fine del secolo nelle forme del gotico catalano commisto ad elementi del rinascimento italiano, si concluse verso il 1520.

Dalla metà del Quattrocento e fino al terzo ventennio del Cinquecento, Sassari divenne  il centro urbano più popoloso e attivo dell'intera Sardegna, un importante polo commerciale e burocratico-amministrativo, con una popolazione che ormai si aggirava attorno alle 13.000 unità.

Mentre i mercanti-feudatari egemonizzavano il consiglio cittadino, la composizione sociale della cittadinanza si arricchiva di un variegato ceto artigianale che affiancava il grosso della classe lavoratrice, costituito dagli agricoltori, realizzando un equilibrio fra l'economia mercantile e artigianale e quella agraria.

Il medesimo ceto artigianale, contadino e mercantile dalla fine del Quattrocento si organizzava in Confraternite, le corporazioni di arti e mestieri con una spiccata divisione delle specialità, deputate al mutuo soccorso fra gli aderenti e al culto del Santo patrono, sul modello di quelle barcellonesi.

Numerose Confraternite artigiane scelsero come sede privilegiata una cappella proprio in Santa Maria di Betlem, mostrando nei confronti dei frati minori conventuali la stessa fiducia accordata loro, in passato, dalla Municipalità.

Nel corso del Cinquecento vi ebbero cappella i sarti e i calzettai, quindi i calzolai assieme ai conciatori, i muratori e i falegnami, gli ortolani e i pastori, cui si unirono, nei secoli successivi, i piccapietre, i carratori e gli agricoltori.

La chiesa e il convento di Santa Maria di Betlem rappresentavano contemporaneamente un centro di vita culturale e religiosa e un luogo di sepoltura ma erano anche un importante elemento nella vita economica e sociale della città.

Il Convento, fin dal Trecento possedeva anche uno "Studio", di cui usufruivano non solo i giovani frati ma anche gli studenti della città e del circondario, prima della creazione del Collegio gesuitico. Infine, attraverso la stipula dei censi, prestiti in denaro a interesse contenuto, la comunità conventuale consentiva ai cittadini di sfuggire al ricatto dell'usura e, disponendo di numerose proprietà immobiliari e terriere, poteva darle in affitto o in enfiteusi a prezzi controllati, o venderli attivando dei censi, che costituivano una specie di mutuo fondiario, a scadenza annuale.

Nel corso del Cinquecento la  Municipalità sassarese dovette affrontare i gravosi impegni finanziari derivanti dalla necessità di costruire opere di avvistamento e difesa dagli assalti Turchi e barbareschi e di riattivare il porto di Torres e ciò avvenne a scapito delle opere destinate alla città. Una di esse, tuttavia, riguarda ancora il convento di Santa Maria di Betlem: si tratta di una fonte di uso pubblico, detta del Brilladore, dal termine spagnolo brollador che significa zampillo, posta all'interno del chiostro.

Lo stemma cittadino, la torre sovrapposta ai pali di Aragona, figura nello scudo centrale che orna il fronte della vasca a catino e negli scudi laterali compaiono le insegne dei consiglieri in carica quell'anno e del guardiano del convento.

Il rapporto fra la città e il convento di Santa Maria di Betlem si intensificò ulteriormente all'indomani della peste del 1528, cessata alla vigilia della festa dell'Assunta, alla metà di agosto. Si rinvigorì il rituale, di lontana origine pisana, che aveva il suo fulcro nella processione dei ceri, trasformati nel Seicento in pesanti candelieri di legno portati in processione, la sera del 14 agosto, dai rappresentanti delle Confraternite di mestiere e con la partecipazione della Municipalità.

Dopo la peste del 1582, nel 1586 la Municipalità fece dono al venerato simulacro della Madonna di Betlem di una corona d'argento e, nel 1633, di un quadro, datato 1 febbraio, oggi conservato nella Sala Giunta del palazzo Municipale. Lo stesso soggetto è raffigurato nella volta dell’abside di Santa Maria:

si tratta di  una processione giunta sul litorale del Golfo dell'Asinara e in essa spiccano i Consiglieri della città nell'atto di restituire ai francescani il simulacro della Madonna di Betlem. La scritta del cartiglio allude all'avvenimento, da porre in relazione alle "rogazioni" fatte dalla Municipalità per scongiurare il pericolo delle incursioni nemiche e in ossequio alle sollecitazioni del sovrano Filippo IV di Spagna.

La Municipalità continuò ad avere una particolare attenzione verso la chiesa e il convento di Santa Maria e  quando, nel 1707, si incendiò la sagrestia, contribuì alla sua ricostruzione e, probabilmente, anche alla trasformazione in forme tardo rinascimentali del suo interno con la realizzazione delle volte a crociera sulla navata, la ristrutturazione delle cappelle laterali e la creazione della tribuna del coro.

Col passaggio della Sardegna al Piemonte, il mutamento degli influssi culturali ed artistici produsse i suoi effetti sulle architetture della città e sull'ornamentazione degli interni di chiese e edifici privati.

Come altri edifici religiosi della Sardegna settentrionale, Santa Maria di Betlem si arricchì di preziosi altari lignei dorati, in parte opera del più importante "escultor" del Capo di Logudoro, il sassarese Juan Antonio Contena.

Mentre tra il secondo e il terzo decennio dell’Ottocento, si costruiva nella "Platha" il nuovo Palazzo Civico, progettato dal piemontese Giuseppe Cominotti, e si definiva, secondo il disegno dello stesso Cominotti, il progetto di espansione della città nella “Appendici” fuori le mura, in quegli stessi anni, il converso francescano Antonio Cano, architetto e scultore, già allievo del Canova all'Accademia romana di San Luca, dopo aver provveduto all'ampliamento delle strutture conventuali.,intraprendeva i lavori di restauro e di trasformazione della chiesa di Santa Maria di Betlem nelle forme che ancora oggi essa conserva.

A completamento dell'opera, fu realizzato,  in sostituzione del campanile poligonale crollato,  il curioso campanile cilindrico, disegnato dall’architetto Cherosu e completato dall’architetto Piretto nel 1850. Dall'esterno, la grande cupola ovoidale, affiancata dall'esile campanile simile ad un minareto, appare oggi come una singolare evocazione, forse più casuale che intenzionale, di quell'Oriente cui l'edificio stesso fa riferimento nella sua intitolazione alla Vergine di Betlem

Nell'ultimo quarto del secolo, a spese della Municipalità venne realizzata una nuova fontana, nella piazza antistante alla chiesa, per facilitare l'approvvigionamento dell'acqua alla popolazione ed eliminare gli inconvenienti che derivavano al convento dall'accesso alla fontana del "Brigliadore" posta nel chiostro.

 La maggior parte del convento, dopo l'incameramento dei beni ecclesiastici da parte del demanio dello Stato, fu  adibita ad altre funzioni e riscattata definitivamente dai frati solo nel 1965.

Nel frattempo, era iniziata la fase della tumultuosa espansione urbanistica della città che, nell'arco di un cinquantennio, avrebbe prodotto un massiccio inurbamento, con lo sviluppo dei nuovi quartieri, e un progressivo abbandono del centro storico, cresciuto su se stesso entro le mura per seicento anni.

Neanche la chiesa e il convento di Santa Maria sfuggirono al destino della trasformazione dei luoghi storici. La ristrutturazione della piazza, conseguente all'edificazione di un moderno complesso, ha comportato una trasformazione degli assetti e dell'immagine complessiva dell'edificio e dell'area in cui si colloca e anche, sembrerebbe problemi a causa dello sbarramento della falda idrica.

La questione sull'opportunità o meno di edificare complessi contemporanei accanto ad edifici storici è annosa e irrisolta, tanti sono i fautori dell'una e dell'altra parte, crescono tuttavia la consapevolezza collettiva e il desiderio di recuperare e rivitalizzare le città storiche e i monumenti quali simboli del divenire storico e simbolo della propria identità.

Segno di questa accresciuta sensibilità è l’imminente restauro dell’edificio, che auspico avvenga nel pieno rispetto di tutti gli elementi che ne hanno fatto nei secoli uno straordinario palinsesto di stili e di storia.

 

Veduta della città di Sassari primi 900 dalla cuppola di Santa Maria di Betlrm